La diffusione del coronavirus espone l’economia mondiale e quella italiana ad un crescente rischio di rallentamento. La Cina, dopo Stati Uniti e Regno Unito, è il 3° mercato extra Ue per le esportazioni dell’intera Unione europea; rappresenta il 5° mercato extra Ue per l’Italia, dietro a Stati Uniti, Svizzera, Regno Unito e Polonia, ma diventa il 2° per la Germania, dietro agli Usa. Oltre alle vendite dirette delle imprese italiane sul mercato cinese, nell’ambito della catena del valore la Cina determina una domanda indiretta di semilavorati e prodotti in subfornitura provenienti dall’Italia; un rallentamento delle importazioni cinesi potrebbe appesantire ulteriormente la fase critica della manifattura tedesca.
Grazie alla tumultuosa crescita dei due primi decenni del XXI secolo, la Cina è diventata un big player mondiale: come abbiamo evidenziato in una nostra recente analisi, nel 2019 il valore dell’economia cinese, valutato in dollari Usa correnti, ha superato quella dell’Eurozona.
Il made in Italy – Nel 2019 l’Italia esporta in Cina 12.993 milioni di euro e importa per 31.666 milioni di euro. All’interno della distribuzione settoriale del made in Italy dominano macchinari (29,7%) e moda (18,2% la somma di tessile, abbigliamento e pelle). L’export nei settori di micro e piccola impresa (MPI) – food, moda, prodotti in metallo, legno e mobili, gioielleria e occhialeria – è pari al 29,8% del totale, per un valore di 3.875 milioni di euro. Le stime preliminari sul trend del 2019 recentemente pubblicate dall’Istat indicano che lo scorso anno l’export verso la Cina è sceso dell’1,0% a fronte di un aumento del 3,8% delle esportazioni nei paesi extra Ue. Migliore il trend dell’export dei settori di MPI che nei primi dieci mesi del 2019 sale del 3,3%.
I territori più esposti sul mercato cinese – La regione con il maggiore grado di esposizione sul mercato cinese è l’Emilia-Romagna con esportazioni manifatturiere che valgono l’1,4% del valore aggiunto regionale; seguono, con valori maggiori o uguali alla media nazionale di 0,8%: Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Lombardia con 1,2% e Valle d’Aosta e Veneto con 1,0%, Toscana con 0,9% e Marche con 0,8%.
I territori provinciali più esposti sul mercato cinese sono Vercelli con le esportazioni manifatturiere che valgono il 3,8% del valore aggiunto provinciale, Belluno con 3,6%, Piacenza con 3,5%, Biella con 3,4%, Massa-Carrara con 3,0%, Frosinone, Pordenone, Vicenza, Reggio Emilia, Asti, Parma con 1,7%, Bologna con 1,6%, Modena con 1,5%, Milano con 1,4%, Arezzo e Udine con 1,3%, a fronte di una media nazionale dello 0,8%.
Viaggi e turismo – La sospensione dei voli con la Cina influisce su missioni commerciali, incontri con buyer e visite a fiere, e penalizza i flussi turistici. La Cina è il primo paese per spesa complessiva nei viaggi internazionali: nel 2018 è salita a 234,8 miliardi di euro la spesa nel mondo che si riferisce a viaggiatori provenienti dalla Cina.
Nel 2018 l’Italia è il primo paese dell’Unione europea per arrivi turistici dalla Cina, pari a 3,0 milioni nel 2018 e per presenze, che sono arrivate a 5,3 milioni, con una spesa stimata in 151 euro per notte, per un totale di circa 800 milioni di euro. In cinque anni le presenze di turisti dalla Cina sono quasi raddoppiate (+87% tra 2013 e 2018).
L’analisi dei dati di Banca d’Italia sul turismo internazionale evidenzia che l’81% spesa dei viaggiatori cinesi in Italia si concentra in quattro regioni: in Lombardia con 26,2% della spesa, Lazio con 19,5%, Toscana con 18,9% e Veneto con 16,0%. In chiave provinciale dominano, cumulando i tre quarti del totale, Milano con 24,7% della spesa, Roma con 19,4%, Firenze con 16,1% e Venezia con 13,5%.